Titolo: I sommersi e i salvati
Autore: Primo Levi
Anno di pubblicazione:
Data di lettura: agosto 2015
Riconoscimenti: //
In passato avevo letto "Se questo è un uomo" e mi era piaciuto, ma questa, che è la sua opera prima del suicidio, mi è piaciuta di più perché non è un racconto, ma una sorta di riflessione.
Ho trovato l'intero libro davvero interessante e non posso riportarlo tutto in questa pseudo-recensione, quindi condivido con voi alcuni fra i tanti pensieri che mi hanno colpito.
In primis ho trovato molto interessante la sua riflessione sulla testimonianza: spesso gli accusati del genocidio raccontavano versioni false degli eventi, ma a furia di raccontarli credevano che fosse la verità.
Un'altra riflessione che mi è piaciuta è quella sulla salvezza dei malvagi. Riprendende una storia di Dostoevskij in cui una vecchia veniva salvata, nonostante le malvagità commesse, per l'unica buona azione compiuta e mi ha stupito vedere che un uomo come Primo Levi, dopo tutto quello che ha passato e essendo anche ateo, potesse pensare una cosa del genere (pensiero che condivido, motivo ulteriore per cui il libro mi è piaciuto).
Bella anche la sottolineatura sulla morte, infatti afferma che lui, in quanto ateo, non ha la sicurezza della vita eterna dopo la morte, eppure si suicida.
Una riflessione che "anticipa" il suo destino é quella sul suicidio dopo i campi di sterminio. Infatti sono pochissime le persone che si sono suicidato durante la detenzione, perché il suicidio é un atto meditato e ragionato, quindi da uomini, mentre nei campi di sterminio erano come animali e avevano tante cose da fare e a cui pensare, non c'era tempo per il suicidio. Dopo la liberazione invece subentra il senso di colpa per non aver
fatto abbastanza e il fatto strano che Levi sottolinea é che i sopravvissuti non si sentono in colpa per aver derubato il vicino o per essere stato prepotente, ma per aver omesso di soccorlo in un momento di debolezza.
Questa riflessione la trovo molto interessante perché normalmente si pensa che i sopravvissuti siano felici per essere scampati alla morte, per essere "rinati", ma Levi stravolge quest'idea e stravolge anche l'idea della gioia della liberazione dei campi di sterminio. Forse qualcuno sarà stato davvero felice, ammette, ma la maggior parte della gente poiché in quel momento cessa la sofferenza personale e la preoccupazione di sopravvivere, pensa alle persone morte e alla vita da ricostruire. Tuttavia spesso la gente che racconta della felicità che ha provato al momento della liberazione non mente, é vittima della stessa deformazione della memoria di cui vi parlavo nella prima persona. Esiste lo stereotipo della liberazione dalle catene=felicità e quindi concludono di essere stati felici.
Un'ultima, a mio parere sconcertante, riflessione, che spiega in parte il titolo é sulla testimonianza dei salvati. Secondo Levi i salvati non sono i veri testimoni perché il vero testimone é chi ha toccato il fondo, chi è morto, perché si parla di campi di sterminio. I salvati sono un'esigua minoranza, che magari è sopravvissuta perché è scesa a compromessi coi potenti, quindi una testimonianza non "degna".
Questo libro mi ha sorpreso, ha capovolto molte mie idee e convinzioni sulla Shoah, inoltre non è la "classica" testimonianza, per questo lo consiglio a tutti :)
Voto: ☆ ☆ ☆ ☆ ☆
Citazione:
"Ora io credo che i dodici anni hitleriani abbiano condiviso la loro violenza con molti altri spazi-tempi storici, ma che siano stati caratterizzati da una diffusa violenza inutile, fine a se stessa, volta unicamente alla creazione di dolore; talora tesa ad uno scopo, ma sempre ridondante, fuor di proporzione rispetto allo scopo medesimo."