Un'analisi della psicologia dell'uomo europeo che si espone all'Africa
Titolo: Cuore di tenebra
Autore: Joseph Conrad
Anno di pubblicazione: 1899
Pagine: 245 (edizione Einaudi con testo a fronte)
Recensione:
Che libro, ragazzi, l'ho amato!
Il racconto è narrato in prima persona dal marinaio Marlow, che si trova su una nave ancorata nel Tamigi in compagnia di alcune persone.
Già dai due esempi iniziali si capisce quale sarà il fulcro del racconto: l'esempio della colonizzazione romana e quello della pirateria inglese del '600 ci fanno capire che l'uomo fin dalla notte dei tempi intraprende missioni di conquista della terra altrui. E' una storia che si ripete e leggendo mi è venuto spontaneo pensare alla frase che Tacito mette in bocca a Calgaco a proposito della conquista romana della Britannia: "Là dove fanno un deserto, lo chiamano pace". Conrad infatti sottolinea che ciò che sembra fare la differenza nelle conquiste moderne è la presenza di un'idea che giustifichi l'azione, come quella di portare il progresso e la civiltà dell'Occidente ai selvaggi, giustificazione della politica coloniale usata ai tempi dello scrittore, che realmente ha intrapreso un viaggio in Congo.
Prima di parlarvi dei personaggi, voglio parlarvi dei luoghi e in particolare del Congo, quello spazio bianco sulla cartina più grande di altri che incuriosiva il protagonista fin da piccolo e che definiva "il cuore della tenebra". Quando Marlow arriva in Congo la prima cosa che nota con un certo fastidio è una serie di buche scavate apparentemente senza criterio dentro le quali vengono lasciati marcire componenti di oggetti vari. Il primo segno di inciviltà non è tanto dei selvaggi, ma dell'uomo bianco.
Man mano che si addentra nell'immensità selvaggia lungo il fiume a Marlow sembra di ritornare ai primordi della storia dell'uomo e, quieta e minacciosa, diventa sempre più inquietante e imperscrutabile per Marlow che si sente "tenuto fuori dalla comprensione di tutto ciò che ci circondava".
Venendo ai personaggi, dapprima vorrei menzionare il Direttore della stazione per conto della Società di commercio, da cui Marlow dipende. Uomo ambizioso e senza scrupoli, grazie a questo riesce a vivere per anni in un luogo in cui molti impazziscono. Il tema della pazzia connessa alla permanenza in Africa è importante ed è presente fin dalle prime pagine, infatti prima di imbarcarsi Marlow deve fare una visita medica e il medico si mostra interessato alla salute mentale di Marlow per poter fare uno studio sulla pazzia che colpisce gli uomini che vivono per troppo tempo in Africa.
Questa pazzia in qualche modo colpisce Kurtz. Kurtz è l'emblema della retorica colonizzatrice, profondamente convinto che il compito dell'uomo bianco sia quello di portare progresso e cultura. Una missione benefica nei confronti dei "poveri" selvaggi. Tuttavia, l'allontanarsi dalle sponde più "civilizzate" e quindi dai vincoli e dal controllo imposti dalla società fa sentire il tedesco onnipotente. Immerso nell'immensità selvaggia e nella solitudine Kurtz guarda dentro se stesso e scopre la
sua vera natura. Quel che mi viene da pensare è che noi uomini contemporanei non siamo molto diversi dall'uomo primitivo, sopra il nostro "essere primitivo" si è solo accumulata un po' di cultura, che è quello che ci distingue dall'uomo di millenni fa. Ma quando ci si allontana dalla società e dalla sua cultura, ci si immerge in quella che Marlow definisce un paesaggio dei primordi, l'uomo torna alla sua vera natura.
Marlow intuisce la tenebra in cui è sprofondato Kurtz, ciò su cui però si interroga è come mai un uomo che, partito con l'idea di fare il bene, fa il male. Il problema del male e del suo essere connaturato all'uomo mi ricorda per affinità Il signore delle mosche di Golding e per contrapposizione Dostoevskij, ma non dico di più su questo punto perchè io stessa necessito di approfondire meglio Dostoevskij per fare parallelismi (se avete qualche riflessione in merito, non esitate a condividerla
con me nei commenti :) ). La risposta al quesito è amara: Kurtz si accorge che quel bene che credeva di portare è vano. La retorica colonizzatrice rivela tutta la sua falsità e a quel punto, disilluso e senza alcun ideale di bene, sceglie il male.
A differenza di Golding, Conrad sembra ritenere che il male non è insito nella natura dell'uomo, ma è un prodotto della cultura.
Tuttavia alla fine Marlow "salva" Kurtz e lo fa perchè in punto di morte avrà la capacità di riconoscere la propria miseria: "Orrore! Orrore!" esclamerà esalando l'ultimo respiro. Per questa sua capacità di autocoscienza critica Kurtz agli occhi di Marlow diventa un uomo veramente notevole ed è anche ciò che spinge Marlow a non tradirne l'eredità, bensì a tramandarla al suo pubblico.
Quello di Marlow, novello Dante, è una sorta di viaggio di formazione, lui stesso infatti dirà all'inizio del racconto che, arrivato al culmine della sua esperienza, gli è sembrato di gettare un po' di luce su quello che gli stava intorno; e luce e conoscenza vanno spesso di pari passo.
E' un viaggio ai confini del male, che Marlow riesce a non sorpassare e per questo può testimoniare. Se l'uomo va oltre i limiti, come gli antichi ce lo raccontano bene, si perde, come Kurtz.
Ho amato questo romanzo per la forte introspezione, per il discorso sulla vera civiltà, per il fascino che inevitabilmente ha suscitato su di me la wilderness congolese e per l'umana analisi del problema del male fatta dal protagonista.
Umana perchè Marlow non è uno che predica teorie, lui è stato vicino, molto vicino al male e all'orrore e ne è scampato per un pelo, grazie alla capacità di non zittire la sua coscienza e ad alcuni "idoli" tipicamente vittoriani, quale il lavoro, come spiega bene Giuseppe Sertoli nell'introduzione dell'edizione pubblicata da Einaudi.
Mi viene da pensare che alla fine ciò che salva tutti i personaggi (tranne Kurtz) dalla "pazzia" sono degli ideali/idoli: ambizione, lavoro...
Da ultimo non posso non menzionare il gioco di contrapposizione tra bianco e nero, evidente fin dal titolo del romanzo. Gli uomini della Società di commercio insieme a Marlow si addentrano nel cuore di tenebra, ma quando giungono veramente nel cuore dell'immensità selvaggia, sono coperti da una nebbia bianca. Anche di ritorno a Bruxelles si ripete il gioco bianco e nero: quando va dalla sposa di Kurtz inizialmente vengono sottolineati il candore di lei in contrasto con il suo vestito da lutto, ma quando Marlow si accorge che la verità non può essere detta, ecco che le tenebre avanzano. Anche il Tamigi, luogo in cui avviene il racconto, ricorda tanto una tetra tenebra.
Voto: ☆☆☆☆☆|5