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sabato 1 agosto 2020

Recensione: "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad

Un'analisi della psicologia dell'uomo europeo che si espone all'Africa


Titolo: Cuore di tenebra
Autore: Joseph Conrad
Anno di pubblicazione: 1899
Pagine: 245 (edizione Einaudi con testo a fronte)
Recensione:

Che libro, ragazzi, l'ho amato!

Il racconto è narrato in prima persona dal marinaio Marlow, che si trova su una nave ancorata nel Tamigi in compagnia di alcune persone. 
Già dai due esempi iniziali si capisce quale sarà il fulcro del racconto: l'esempio della colonizzazione romana e quello della pirateria inglese del '600 ci fanno capire che l'uomo fin dalla notte dei tempi intraprende missioni di conquista della terra altrui. E' una storia che si ripete e leggendo mi è venuto spontaneo pensare alla frase che Tacito mette in bocca a Calgaco a proposito della conquista romana della Britannia: "Là dove fanno un deserto, lo chiamano pace". Conrad infatti sottolinea che ciò che sembra fare la differenza nelle conquiste moderne è la presenza di un'idea che giustifichi l'azione, come quella di portare il progresso e la civiltà dell'Occidente ai selvaggi, giustificazione della politica coloniale usata ai tempi dello scrittore, che realmente ha intrapreso un viaggio in Congo. 

Prima di parlarvi dei personaggi, voglio parlarvi dei luoghi e in particolare del Congo, quello spazio bianco sulla cartina più grande di altri che incuriosiva il protagonista fin da piccolo e che definiva "il cuore della tenebra". Quando Marlow arriva in Congo la prima cosa che nota con un certo fastidio è una serie di buche scavate apparentemente senza criterio dentro le quali vengono lasciati marcire componenti di oggetti vari. Il primo segno di inciviltà non è tanto dei selvaggi, ma dell'uomo bianco
Man mano che si addentra nell'immensità selvaggia lungo il fiume a Marlow sembra di ritornare ai primordi della storia dell'uomo e, quieta e minacciosa, diventa sempre più inquietante e imperscrutabile per Marlow che si sente "tenuto fuori dalla comprensione di tutto ciò che ci circondava".

Venendo ai personaggi, dapprima vorrei menzionare il Direttore della stazione per conto della Società di commercio, da cui Marlow dipende. Uomo ambizioso e senza scrupoli, grazie a questo riesce a vivere  per anni in un luogo in cui molti impazziscono. Il tema della pazzia connessa alla permanenza in Africa è importante ed è presente fin dalle prime pagine, infatti prima di imbarcarsi Marlow deve fare una visita medica e il medico si mostra interessato alla salute mentale di Marlow per poter fare uno studio sulla pazzia che colpisce gli uomini che vivono per troppo tempo in Africa. 
Questa pazzia in qualche modo colpisce Kurtz. Kurtz è l'emblema della retorica colonizzatrice, profondamente convinto che il compito dell'uomo bianco sia quello di portare progresso e cultura. Una missione benefica nei confronti dei "poveri" selvaggi. Tuttavia, l'allontanarsi dalle sponde più "civilizzate" e quindi dai vincoli e dal controllo imposti dalla società fa sentire il tedesco onnipotente. Immerso nell'immensità selvaggia e nella solitudine Kurtz guarda dentro se stesso e scopre la 
sua vera natura. Quel che mi viene da pensare è che noi uomini contemporanei non siamo molto diversi dall'uomo primitivo, sopra il nostro "essere primitivo" si è solo accumulata un po' di cultura, che è quello che ci distingue dall'uomo di millenni fa. Ma quando ci si allontana dalla società e dalla sua cultura, ci si immerge in quella che Marlow definisce un paesaggio dei primordi, l'uomo torna alla sua vera natura.
Marlow intuisce la tenebra in cui è sprofondato Kurtz, ciò su cui però si interroga è come mai un uomo che, partito con l'idea di fare il bene, fa il male. Il problema del male e del suo essere connaturato all'uomo mi ricorda per affinità Il signore delle mosche di Golding e per contrapposizione Dostoevskij, ma non dico di più su questo punto perchè io stessa necessito di approfondire meglio Dostoevskij per fare parallelismi (se avete qualche riflessione in merito, non esitate a condividerla 
con me nei commenti :) ). La risposta al quesito è amara: Kurtz si accorge che quel bene che credeva di portare è vano. La retorica colonizzatrice rivela tutta la sua falsità e a quel punto, disilluso e senza alcun ideale di bene, sceglie il male. 
A differenza di Golding, Conrad sembra ritenere che il male non è insito nella natura dell'uomo, ma è un prodotto della cultura. 

Tuttavia alla fine Marlow "salva" Kurtz e lo fa perchè in punto di morte avrà la capacità di riconoscere la propria miseria: "Orrore! Orrore!" esclamerà esalando l'ultimo respiro. Per questa sua capacità di autocoscienza critica Kurtz agli occhi di Marlow diventa un uomo veramente notevole ed è anche ciò che spinge Marlow a non tradirne l'eredità, bensì a tramandarla al suo pubblico.

Quello di Marlow, novello Dante, è una sorta di viaggio di formazione, lui stesso infatti dirà all'inizio del racconto che, arrivato al culmine della sua esperienza, gli è sembrato di gettare un po' di luce su quello che gli stava intorno; e luce e conoscenza vanno spesso di pari passo.  
E' un viaggio ai confini del male, che Marlow riesce a non sorpassare e per questo può testimoniare. Se l'uomo va oltre i limiti, come gli antichi ce lo raccontano bene, si perde, come Kurtz.  


Ho amato questo romanzo per la forte introspezione, per il discorso sulla vera civiltà, per il fascino che inevitabilmente ha suscitato su di me la wilderness congolese e per l'umana analisi del problema del male fatta dal protagonista. 
Umana perchè Marlow non è uno che predica teorie, lui è stato vicino, molto vicino al male e all'orrore e ne è scampato per un pelo, grazie alla capacità di non zittire la sua coscienza e ad alcuni "idoli" tipicamente vittoriani, quale il lavoro, come spiega bene Giuseppe Sertoli  nell'introduzione dell'edizione pubblicata da Einaudi. 

Mi viene da pensare che alla fine ciò che salva tutti i personaggi (tranne Kurtz) dalla "pazzia" sono degli ideali/idoli: ambizione, lavoro...


Da ultimo non posso non menzionare il gioco di contrapposizione tra bianco e nero, evidente fin dal titolo del romanzo. Gli uomini della Società di commercio insieme a Marlow si addentrano nel cuore di tenebra, ma quando giungono veramente nel cuore dell'immensità selvaggia, sono coperti da una nebbia bianca. Anche di ritorno a Bruxelles si ripete il gioco bianco e nero: quando va dalla sposa di Kurtz inizialmente vengono sottolineati il candore di lei in contrasto con il suo vestito da lutto, ma quando Marlow si accorge che la verità non può essere detta, ecco che le tenebre avanzano. Anche il Tamigi, luogo in cui avviene il racconto, ricorda tanto una tetra tenebra. 

Voto: ☆☆☆☆☆|5

lunedì 27 luglio 2020

Il segreto delle parole - Alba


Buona sera a tutti!

Vorrei cercare di riprendere la consuetudine del passato di pubblicare una nuova etimologia ogni lunedì e non a cadenza casuale come avevo fatto nei mesi scorsi. Purtroppo ho perso il foglio in cui annotavo di volta in volta le parole di cui vi avrei voluto parlare, ma adesso ho iniziato a fare una lista di nuove parole che mi sono venute in mente in questi giorni di relax.

La parola di oggi è una delle cose che amo di più: l'alba.

È il femminile del latino albus, che significa "bianco", ma anche "brillante"(avete presente l'effetto che fa un bianco veramente bianco? Sembra che brilli).
La parola latina infatti viene dalla radice indoeuropea aus, aues che significa "brillare", "fare luce". Da questa radice in greco abbiamo Eos, la dea dell'alba, che ogni mattina lascia la sua dimora nell'oceano e sale sulla biga per andare a diradare le tenebre della notte.
Omero poeticamente la definisce la dea dalle rosee dita e la descrive come una donna dal vestito color zafferano.
Questo rosso-rosa infatti è il tipico colore con cui l'alba si manifesta ai nostri occhi così come a quelli degli antichi Greci e quindi è inevitabile che venisse descritta così.

Io amo questi colori e amo l'alba, infatti ogni volta che la vedo mi sento come una eletta perché di solito una persona non è sveglia all'ora a cui il sole sorge e si perde questo bello spettacolo. Spesso d'estate ho visto l'alba sorgere al mare e vi allego una delle foto di cui sono più soddisfatta per essere riuscita a catturare in maniera più simile i colori.

mercoledì 22 luglio 2020

Recensione: "L'inventore di sogni" di Ian McEwan

I sogni di un bambino che diventa grande

Titolo: L'inventore di sogni 
Autore: Ian McEwan 
Lingua originale: inglese
Anno di pubblicazione: 1994
Pagine: 98
Genere: middle grade

Trama: Peter Fortune ama sognare, non solo di notte: qualunque momento della giornata è buono per fantasticare. Tuttavia questa sua passione gli crea non pochi problemi, ad esempio a scuola gli insegnanti pensano che lui abbia difficoltà di apprendimento. Col tempo Parere capisce che le persone non sanno cosa gli frulla per la testa in quel momento e per questo ha imparato a raccontare i suoi sogni. Il libro è la trascrizione di alcuni di questo sogni.

Recensione: Devo iniziare questa recensione con una confessione: questo libro non mi ha mai ispirato. Forse per colpa della sua continua presenza su ogni libro di antologia delle elementari e medie, forse perché neanche il titolo mi incuriosiva tanto, chissà...
Tuttavia in occasione della tappa di giugno della mia challenge #viaggiatoritralerighe ambientata in uno degli stati in cui regna la regina Elisabetta e visto il periodo di esami, ho deciso di leggere questo libriccino.

La prima cosa che ho apprezzato è stata l'incipit ed ero subito pronta a ricredermi sul libro, tuttavia le prime storie (che tra l'altro già conoscevo) non mi hanno comunicato granché e questo mi ha reso difficile avere voglia di continuare la lettura. Devo dire che col senno di poi anche i primi racconti, come quello delle bambole che si vendicano perchè Peter ha rubato loro la stanza o quella in cui il protagonista entra nel corpo del suo gatto aiutano a comprendere che sta per avvenire un cambiamento: il Peter bambino deve diventare grande e il passaggio è traumatico, per questo ha bisogno di affrontare alcune sfide che gli daranno grandi insegnamenti.
Dico col senno di poi perché man mano che la storia procede la crescita di Peter diventa sempre più evidente e infatti ho iniziato ad apprezzare di più questo libro. I miei racconti preferiti sono quello sul prepotente e quello finale, talmente verosimile che penso che ognuno di noi da bambino abbia fatto un tale sogno.

Cambiamento e crescita sono i temi fondamentali di questo romanzo, al quale non manca un pizzico di magia, perché si sa che nei sogni può accadere qualunque cosa. I temi sono in un certo senso già anticipati nella citazione scelta da McEwan e messa come epigrafe all'inizio del libro: si tratta di una frase dalle Metamorfosi di Ovidio e, leggendo proprio oggi l'inizio di un altro libro di questo scrittore inglese, mi sono resa conto di quanto sia fondamentale: non è solo evocativa, ma dice del cuore del romanzo.

Quello di McEwan è un esperimento interessante: un libro per bambini in cui lo stesso scrittore ritorna bambino, immaginandosi i sogni del suo protagonista, sogni però che sembrano così reali (e questo capita a un sacco di persone che sognano) che a volte perfino io mi dimenticavo che in realtà era, appunto, tutto un sogno.

Lo stile è favoloso, ogni parola è posizionata alla perfezione e risulta coerente con l'età del protagonista. Sicuramente, anche se il libro non è tra i miei preferiti, proprio perché ho amato lo stile mi è venuta voglia di leggere altri suoi libri che mi ispirano di più, come "Nel guscio" che ho iniziato oggi.


Voto: ☆☆☆|5 

CitazioneSiamo noi che lo abbiamo sognato come il prepotente della scuola. Non è più forte di nessuno di noi. Tutta la sua forza e il potere, ce la siamo sognata noi. Noi abbiamo fatto di lui quello che è. Quando va casa e nessuno gli crede se fa il prepotente, allora torna se stesso.

Voi amate McEwan? Avete letto questo libro? Fatemelo sapere nei commenti :)

mercoledì 20 maggio 2020

WWW Wednesday #4

Ciao a tutti!
Era un po' di tempo che non mi facevo viva con questo simpatico appuntamento del mercoledì in cui vi mostro:
- What am I reading?
- What have I read?
- What will I read?

Cosa sto leggendo?

Ho iniziato proprio ieri Il ritorno del re, ultimo libro della trilogia di Tolkien. Non posso dirvi molto perché sono solo al primo capitolo.

Cosa ho appena finito di leggere?


In questa settimana ho finito di leggere sia Le due torri di Tolkien sia Stupore e tremori di Amelie Nothomb.
Le due Torri me lo aspettavo diverso, forse per via del primo libro, anche se comunque mi è piaciuto, mentre il libro della Nothomb, una delle mie scrittrici preferite, l'ho adorato e, siccome ormai ero abituata ai suoi libri più recenti, ho apprezzato molto ritrovare il suo vecchio stile graffiante e ironico.

Cosa leggerò?

Esami in arrivo, anche troppi perché mi hanno annullato interamente la sessione invernale perché volevano farci fare gli esami non online, salvo poi farceli fare comunque online a giugno (capacità predittiva di un pesce rosso -_-). Questo vorrà dire 0 tempo per le letture, per questo voglio provare a buttarmi su qualcosa di leggero e penso quindi che recupererò un classico della letteratura per ragazzi: Anna dai capelli rossi di Lucy Montgomery.


E voi? Quali letture avete in programma questo mese?



martedì 12 maggio 2020

Recensione: "Il castello bianco" di Orhan Pamuk

Una metafora sul rapporto tra Oriente e Occidente


Titolo: Il castello bianco
Autore: Orhan Pamuk
Anno di pubblicazione: 1985
Lingua originale: turco
Numero di pagine: 172
Voto: ☆☆☆☆





TramaNel Seicento un italiano viene catturato dai Turchi e venduto come schiavo ad un astronomo musulmano, sorprendentemente identico a lui. I due lavorano insieme a diversi progetti tecnico-scientifici per il Padiscià, guadagnandone entrambi la stima. Progettano anche un macchinario bellico per la guerra in Polonia, che però non funziona. A seguito di questo evento solo uno dei due uomini tornerà in Turchia.


Recensione: Ho letto "Il castello bianco" perché quest'anno, frequentando un corso di laurea magistrale in inglese, ho conosciuto una ragazza turca, di cui sono diventata amica. Mi ha molto incuriosito il suo paese e la sua cultura perché per certi versi assimilo molto i turchi ai greci (ma loro odiano questa cosa) e quindi agli europei, per altri versi, in primis per la religione musulmana e l'influenza culturale che ne consegue.
Per questa mia curiosità ho deciso di cercare un libro turco da leggere e ho scoperto Orhan Pamuk, lo scrittore turco più conosciuto al mondo, vincitore anche del Nobel per la Letteratura nel 2006.

Parlando adesso del libro, il romanzo inizia in medias res con la voce narrante, un italiano, che viene catturato dai Turchi mentre si trova su una nave a causa della vigliaccheria del proprio comandante. Viene quindi portato a Istanbul e imprigionato come schiavo ma, spacciandosi per medico, riesce a evitare i compiti peggiori. Un giorno viene invitato alla Corte del Padiscià, che è malato. Qui il protagonista si accorge della straordinaria somiglianza che lui, uomo italiano, ha con un astronomo turco che si fa chiamare Maestro.

Attorno questa somiglianza ruota tutto il libro, infatti l'italiano viene poi venduto all'astronomo e iniziano a lavorare a progetti scientifici insieme, di cui poi si prendeva il merito il turco. Ma al di là di questo, ciò che è estremamente interessante in questo romanzo è il rapporto tra i due uomini, metafora del rapporto tra Oriente e Occidente: il turco è attratto dalle conoscenze dell'italiano e cerca di farsi insegnare da lui tutto lo scibile, tuttavia è anche molto orgoglioso del suo sapere e della sua cultura.

L'elemento curioso è che, pur vivendo insieme, inizialmente il turco non si rende conto della somiglianza con il suo schiavo. Tuttavia quando se ne accorgerà, inizierà ad essere ossessionato da alcune domande esistenziali "cosa rende l'essere umano unico?", "Qual è l'elemento di superiorità degli italiani rispetto ai turchi?".
Su quest'ultima domanda il Maestro si accanisce, prima contro l'italiano e poi con un assurda e ossessa ricerca condotta tra gli uomini più miserabili di fede musulmana e cristiana, che alla fine è volta solo a confermare la sua teoria: i musulmani sono superiori ai cristiani. Sarà così?

Il tema del doppio e dell'identità così come il rapporto tra Oriente e Occidente sono i due perni attorno a cui ruota tutto il romanzo, ambientato in una Turchia descritta con sfumature che mi ricordano quelle di un quadro impressionista.

Per quanto riguarda le descrizioni, una in particolare mi ha colpito per la straordinaria affinità col nostro periodo. Anche a Istanbul nel Seicento scoppia un'epidemia di peste e il Maestro e il protagonista sono chiamati a fermarla. Tra le misure che suggeriscono al Sultano ci sono quelle di evitare gli assembramenti, motivo per cui vengono chiusi i mercati e evitare gli spostamenti. Infatti vengono posti i Giannizzeri a presidio degli ingressi delle città. Vi ricorda qualcosa?

In conclusione posso dire che è stata sicuramente una piacevole lettura, anche se la scrittura di Pamuk è elaborata e non rinuncia a metafore. Alla fine, quello che mi porto con me da questa lettura è la famosa frase del film Mediterraneo di Salvatores: "Italiani, Turchi: una faccia, una razza".

p.s. i dolcetti che vedete in foto vengono proprio dalla Turchia, sono un regalo della mia amica :)

domenica 10 maggio 2020

Il segreto delle parole - Madre


Buongiorno e buona festa della mamma!

In questa occasione ho deciso di riesumare la mia vecchia rubrica Il segreto delle parole in cui vi proponevo ogni lunedì l'etimologia di una parola.

Oggi non è lunedì, ma vi voglio parlare dell'etimologia della parola madre.

La parola deriva dall'accusativo latino matrem, che trova corrispondenza anche nel greco antico meter-tris.
Alcuni ritengono che venga dalla radice indoeuropea "mâ", col significato di "misurare", "ordinare" presente anche nel sanscrito matṛ, che significa "madre", ma anche "ordinatrice". Da questa radice deriverebbero anche le parole italiane metro, mano, mese e morale.

La radice indoeuropea dà come esito mother in inglese, mutter in tedesco, mère in francese e mai in spagnolo.

Altri pensano invece che non esista una vera e propria etimologia e che la parola derivi dalla ripetizione di una delle lettere che per i bambini piccoli è più facile da pronunciare, la "m". Questa spiegazione sarebbe supportata anche dal fatto che i bambini dicono "mamma" anziché "madre.
Ed è proprio questa l'interpretazione che Erri De Luca sceglie nella poesia Mamma Emilia.

In te sono stato albume, uovo, pesce,
le ere sconfinate della terra
ho attraversato nella tua placenta,
fuori di te sono contato a giorni.
In te sono passato da cellula a scheletro
un milione di volte mi sono ingrandito,
fuori di te l’accrescimento è stato immensamente meno.
Sono sgusciato dalla tua pienezza
senza lasciarti vuota perché il vuoto
l’ho portato con me.
Sono venuto nudo, mi hai coperto
così ho imparato nudità e pudore
il latte e la sua assenza.
Mi hai messo in bocca tutte le parole
a cucchiaini, tranne una: mamma.
Quella l’inventa il figlio sbattendo le due labbra
quella l’insegna il figlio.
Da te ho preso le voci del mio luogo,
le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri,
da te ho ascoltato il primo libro
dietro la febbre della scarlattina.
Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze,
a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco,
a finire le parole crociate, ti ho versato il vino
e ho macchiato la tavola,
non ti ho messo un nipote sulle gambe
non ti ho fatto bussare a una prigione
non ancora,
da te ho imparato il lutto e l’ora di finirlo,
a tuo padre somiglio, a tuo fratello,
non sono stato figlio.
Da te ho preso gli occhi chiari
Non il loro peso
A te ho nascosto tutto.
Ho promesso di bruciare il tuo corpo
di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco
fratello vulcano che ci orientava il sonno.
Ti spargerò nell’aria dopo l’acquazzone
all’ora dell’arcobaleno
che ti faceva spalancare gli occhi.

mercoledì 8 aprile 2020

WWW Wednesday #3

Ciao a tutti!
Eccomi qua con questo simpatico appuntamento del mercoledì in cui vi mostro:
- What have I read?
- What am I reading?
- What will I read?


Cosa ho appena finito di leggere?



In questo periodo di quarantena sto leggendo molto e ho finito La compagnia dell'Anello celebre primo libro della trilogia di Tolkien e Il castello bianco dello scrittore turco Pamuk.
La lettura del Signore degli Anelli ha rappresentato un toccasana per i momenti in cui ero molto malinconica, ma anche Il castello bianco mi ha tenuto buona compagnia poiché mi ha coinvolto e tenuta attaccata alle pagine.


Cosa sto leggendo?
Sto leggendo ben 3 libri! Anche a voi capita di fare così tante letture in contemporanea?



Nello specifico sto leggendo My dead Orpheus. Il risveglio di Lavinia Vi, un Fantasy YA che mi sta incuriosendo molto. Sto anche leggendo L'onironauta presente di Nicole Olindo e Zia Mame di Patrick Dennis, una lettura ironica per rilassarmi dopo stancantu giornate piene di videolezioni.


Cosa leggerò?

Non vedo l'ora di iniziare Le due torri con le ragazze di #ungdlperscoprirli, ma vorrei anche leggere Everyman di Philip Roth, infatti ero indecisa se scegliere questo libro oppure Zia Mame per la tappa statunitense di #viaggiatoritralerighe.


E voi? 
Conoscete le mie letture? Vi incuriosiscono? 

martedì 31 marzo 2020

Recensione: "Lo Hobbit" di Tolkien

Lo Hobbit

Là dove il mondo di Tolkien ebbe inizio


Bilbo è un Hobbit di 50 anni, vive nella sua comoda caverna della Contea, quando un giorno riceve la visita dello stregone Gandalf. Da quel momento la sua vita cambierà per sempre e partirà in fretta e furia, in veste di Scassinatore, insieme ai Nani per la riconquista di un tesoro, un tempo appartenuto ai Nani, custodito dal drago Smog. Un'avventura che, nonostante i pericoli anche mortali, si rivelerà arricchente e cambierà profondamente il carattere di Bilbo, risvegliando il suo lato Tuc.
Coraggio, astuzia e intraprendenza sono attributi che Bilbo pian piano inizia a manifestare, tuttavia ciò che più mi è piaciuto di questo personaggio è che rimane sempre uno Hobbit, amante della pace e incline alla pietà e al perdono.

Un elemento interessante è che nello Hobbit troviamo un esempio di serendipità (vi rimando all'articolo di Artspecialday ove ho trovato questa analisi della serendipità) .
Secondo la Treccani online serendipità è la capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte (specialmente in campo scientifico), mentre si sta cercando altro. Serendipità però è molto più di un colpo di fortuna perché richiede una certa predisposizione d'animo personale, come la storia di Bilbo dimostra. Per un fortuito caso egli trova l'Anello (anche se Tolkien in ISDA dirà che l'Anello stava cambiando padrone per cercare di ricongiungersi a colui che lo aveva forgiato), ma grazie alla sua perspicacia riesce a utilizzarlo in maniera astuta per salvare se stesso e gli altri. Nell'articolo si dice che probabilmente Tolkien non aveva in mente la serendipità, infatti in tutta la sua opera non si trova questo vocabolo o sinonimi, tuttavia è un ottimo esempio di questa abilità da cui tutti noi possiamo imparare.

Per converso i Nani, e in particolare il loro capo, Thorin Scudodiquercia, non mi sono mai stati simpatici: inizialmente non credono che Gandalf abbia fatto la scelta giusta proponendo loro Bilbo come compagno di viaggio, poi si ricredono, ma tendenzialmente continuano ad essere orgogliosi e monolitici.
Lo stregone Gandalf il Grigio è invece il classico personaggio che nei fantasy interviene per aiutare l'eroe. Nei primi incontri coi nemici, come Cavalieri Neri o Troll, è sempre lui che risolve la situazione, anche se dopo esce di scena per lasciare emergere il protagonista, Bilbo, e le sue abilità. Ho sempre ritenuto Gandalf un personaggio potente e indistruttibile, pertanto un aspetto che ho apprezzato è che in alcune situazioni anche lui teme di non farcela, anche se poi anche con un pizzico di fortuna riesce a trovare una soluzione.

Il libro si configura dunque con tutti gli elementi tipici del fantasy e della fiaba: protagonista, avventura, prove da superare, oggetto magico, antagonista e aiutante. Tuttavia verso la fine a mio avviso si discosta dal tradizionale canovaccio in un modo che mi ha sorpreso, ma che ho apprezzato molto.
Un'altra cosa che mi è piaciuta è che nella battaglia finale si ritrovano quasi tutti i personaggi incontrati lungo la storia.

Lo stile è diverso da quello del Signore degli Anelli, si capisce che questa storia era stata pensata per i bambini, infatti ci sono descrizioni meno articolate, solo quel che basta per caratterizzare luoghi e personaggi, e il narratore chiama spesso in causa il lettore/ascoltatore con frasi tipo: "Ti ricordi?". Mi fa pensare anche a un libro rivolto ai bambini il fatto che a volte il narratore dica frasi come "Questo accadrà molto più avanti" perché sono espedienti per mantenere la curiosità. Comunque proprio questa diversità di stile mi ha fatto apprezzare Lo Hobbit più di ISDA alla mia prima lettura.

Complessivamente sono felice di avere avuto con #ungdlperscorirli l'opportunità di leggere in primis Lo Hobbit perché ci sono alcuni personaggi o concetti che qui vengono spiegati bene, apparendo per la prima volta, come i Cavalieri Neri o Gollum. Grazie a Lo Hobbit rileggendo adesso Il Signore degli Anelli lo sto apprezzando molto di più e sto notando un sacco di dettagli che prima mi erano sfuggiti, soprattutto per ciò che ha a che fare con l'Anello e il suo funzionamento.

Voto: ☆☆☆☆☆|5

Scheda libro:

Titolo: Lo Hobbit
Autore: J.R.R. Tolkien
Anno di pubblicazione: 1937
Lingua originale: inglese
Pagine: 342
Genere: fantasy

giovedì 5 marzo 2020

Recensione: "Un tenebroso affare" di Balzac


Il primo noir della letteratura


Finalmente è arrivata la recensione del primo libro che ho letto nel 2020:             Un tenebroso affare di Honorè de Balzac.


Il romanzo trae spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nella Francia degli anni '30 dell'Ottocento, tra la rivoluzione e la restaurazione monarchia, con Napoleone in ascesa (Napoleone che farà anche la sua comparsa verso la fine del libro).

Il primo personaggio che entra in scena è Michu, un fattore della campagna francese che gestisce la proprietà di Godrenville. Nella sua descrizione, che ricorda la tecnica del Lombroso, sembra un personaggio abietto e negativo, il lettore si aspetta che faccia una brutta fine e sei quasi contento di questo, ma poi arriverà a simpatizzare per lui. Qui si intravede la ricerca antropologica che Balzac stava conducendo in quel periodo e che lo porterà alla sua opera principale, La Commedia Umana.
Tuttavia il personaggio che traina fino alla fine la vicenda è mademoiselle Laurence de Cinq-cygn, simbolo di una aristocrazia indomita che odia Napoleone e trama per il ritorno dei Borboni. Una donna forte, come le sue nobili antenate, coraggiosa, orgogliosa e astuta, ma che nel corso della vicenda imparerà anche a riconoscere il limite.

Balzac descrive gli intrighi di potere tipici di quel periodo di transizione in cui tutti fingono di collaborare l'uno con l'altro, ma in realtà cercano sempre un modo per tenere in scacco l'altro e uscire indenni dalle situazioni. Queste trame rendono tenebroso e oscuro l'affare in cui vengono implicati Michu, mademoiselle Laurence de Cinq-cygn e i suoi cugini, un caso che Balzac descrive in maniera da far perdere il lettore e a far crescere in lui il desiderio di scoprire come siano andate veramente le cose.

La prima parte del romanzo è abbastanza lenta e molto descrittiva, probabilmente anche perché il romanzo veniva raccontato a puntate, ma i capitoli si interrompono sempre in modo da creare suspense. La seconda parte invece coinvolge molto di più il lettore che rimane invischiato nelle macchinazioni dei personaggi politici, il ritmo è serrato, ma non si corre verso il finale, infatti Balzac ci regala un excursus sulla legge e sui tribunali francesi in quel periodo. Il fatto che l'esito del processo non risolva la situazione mi è molto piaciuto, ma qui arriva quella che io ritengo essere la parte più debole: il finale.
Il finale non mi ha convinto, il libro poteva finire un capitolo prima e lasciare tutto irrisolto, un vero "tenebroso affare". Non mi ha convinto perché l'agnizione avviene in maniera decisamente scollegata dal resto dei fatti, a distanza di tempo. Da un lato è un bell'espediente che sicuramente funziona, dall'altro ha avuto in me l'effetto di smorzare il pathos che l'autore aveva così abilmente creato e che era culminato nel processo e nel suo esito.

Complessivamente una lettura coinvolgente, anche se non molto scorrevole, la voglia di scoprire quale sia il "fattaccio" oggetto del titolo mi ha trainato verso la fine. Interessante perché è uno dei primi noir della letteratura, infatti troviamo i tipici elementi che caratterizzeranno il genere a partire dagli inizio del Novecento: i protagonisti sono i sospettati esecutori del caso attorno a cui ruota tutto il racconto, e hanno tutti delle qualità auto-distruttive, a partire da Michu, provocatorio e brusco in ogni sua azione, mademoiselle Laurence de Cinq-cygn, troppo ribelle e orgogliosa, e i suoi cugini, i De Simeuse, che tramando per il ritorno dei Borboni. Inoltre il sistema legale e politico è facilmente influenzabile, se non addirittura corrotto, e alla fine a trionfare non sarà la giustizia, ma i furbi e coloro che sapranno scendere a compromessi.

Ci sono anche alcuni elementi dei polizieschi come la dinamica dell'indagine della polizia francese per ricostruire la trama dell'avvenimento.

Voto: ☆☆☆☆/5


Scheda libro:


Titolo: Un tenebroso affare
Autore: Honorè De Balzac
Anno di pubblicazione: 1841
Lingua originale: francese









P.s. Occorre menzionare che la piacevolezza della lettura è stata data anche dalla vecchia edizione della Newton Compton con delle bellissime note utili e funzionali.